@ - "Da un punto di vista criminologico, la tragedia di Paderno Dugnano ci racconta in maniera drammatica la dinamica di un contesto familiare in cui uno dei figli, parlo del 17enne reo confesso, si sentiva fortemente inadeguato rispetto agli altri membri della sua famiglia. E che forse ha voluto 'vendicare' questa sensazione di estraneità, di cui lui stesso parla, attraverso un agito violento".
"Le coltellate, l'accanimento, il vero obiettivo. Vi spiego cosa c'è
dietro la strage di Paderno Dugnano"
Lo dice alla redazione de ilGiornale il criminologo e psicoterapeuta Silvio Ciappi, esperto di disagio giovanile, riguardo al triplice omicidio di Paderno Dugnano, avvenuto nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre.
Riccardo C., 17 anni, ha ammesso di aver ucciso i genitori e il fratellino di 12 anni, senza alcun apparente motivo: "Sentivo un malessere. Non so perché l’ho fatto", ha raccontato agli inquirenti nel corso del primo interrogatorio. "Bisognerà scavare a fondo per provare a capire cosa abbia indotto questo ragazzo ad aggredire e colpire mortalmente i genitori. Probabilmente è vero che neanche lui si dà una motivazione a quanto accaduto", precisa l’esperto.
Dottor Ciappi, il 17enne ha raccontato di aver aggredito prima il fratellino. Secondo lei, perché ha scelto di colpire subito il membro più giovane e vulnerabile della famiglia?
"Ragionando nel campo delle ipotesi, è probabile che questo ragazzo riconoscesse nel fratello dodicenne una personalità in divenire, non ancora definita e, dunque, con un futuro davanti. Mentre lui, forse, si sentiva già determinato. Come fosse senza possibilità o via d’uscita da se stesso. Oppure, un’altra ipotesi, è che potrebbe aver usato il fratello 'come esca' per attirare i suoi genitori".
Cioè?
"Non escluderei che l’obiettivo del ragazzo, anche a livello inconscio, fossero in realtà i genitori. Forse covava rancore nei confronti della madre e del padre per una serie di ragioni che non conosciamo. Magari avevano proiettato su di lui, il 'piccolo Einstein', come lo chiamava la povera mamma, delle aspettative che il ragazzo riteneva di non poter soddisfare".
Da un primo esame medico legale è emerso che i genitori e il fratellino sono stati uccisi, in totale, con 68 coltellate.
"Da un punto di vista criminologico, questo accanimento si chiama overkilling e porta l’omicida a infierire con particolare violenza sulla vittima anche quando quest’ultima ha già cessato di vivere. Nel caso specifico, la 'sovrauccisione' ci dà la misura della rabbia che verosimilmente era sedimentata nella mente dell’autore del triplice omicidio. Del resto, lui stesso ha parlato di 'un’esplosione' durante la confessione".
A proposito di confessione. Il 17enne ha spiegato ai magistrati di avere un altro piano: “L’idea era di uccidere con una coltellata mio fratello e mio padre e poi far finta che mia madre mi avesse aggredito e io mi fossi difeso", sono state le sue parole. Poi ha cambiato versione, dapprima incolpando il padre e successivamente assumendosi la piena responsabilità del fatto. Come lo spiega?
"Senza addentrarmi in discorsi che riguardano l’eventuale premeditazione, il fatto che il ragazzo avesse in mente di attribuire le responsabilità degli omicidi all’uno o all’altro genitore, conferma verosimilmente che serbava qualche forma di risentimento nei confronti di questi ultimi. Ad ogni modo, io credo che la solitudine, comunemente intesa, c’entri ben poco con questa terribile tragedia. Penso che la chiave di lettura sia un’altra".
Ovvero?
"Il reo confesso ha detto di sentirsi 'come un corpo estraneo' all’interno della famiglia. E dunque, partirei proprio da questa sensazione di straniamento per provare a capire quale sia il meccanismo che si è innescato e ha portato all’esplosione drammatica di rabbia. Tanto per intenderci, lui ha agito come fosse un virus: ha aggredito il suo nucleo familiare dall’esterno. Si è comportato come 'un corpo estraneo', per l’appunto".
A quanto risulta dai verbali, il 17enne avrebbe detto di voler andare in Ucraina, motivando questa affermazione con il desiderio di "vedere da vicino la sofferenza della gente che vive in quei territori". Cosa pensa al riguardo?
"Credo fosse un modo per proiettare sugli altri la sofferenza che aveva dentro e con cui non riusciva a relazionarsi. Una sofferenza che poi si è tramutata in furia cieca, proprio perché rimasta inesplorata".
Sembra che il ragazzo conducesse una vita apparentemente "normale" e non avesse dato alcun segnale di disagio. Come reputa la presunta “assenza di segnali”?
"Purtroppo solo i genitori potrebbero dirci se realmente non c’erano stati segnali che fossero indicativi di qualche disagio. A parer mio, il fatto che avesse un debito in matematica, una materia in cui eccelleva, potrebbe essere stato un piccolo campanello d’allarme. Chiaramente non c’è un nesso causa-effetto diretto con l’omicidio. Potrebbero essere intervenuti altri fattori".
Quali?
"Gli adolescenti di oggi vivono in un universo orizzontale, completamente piatto, dove bisogna essere tutti omologati ed estremamente performanti. E chi non si adegua è fuori dal ‘branco’. Anche questo può provocare un senso di profonda inadeguatezza e frustrazione".
Quanto incide, se incide, l’utilizzo dei social?
"Contrariamente a quanto pensano alcuni, io non credo affatto che i social siano da demonizzare. Sono uno strumento di comunicazione integrante dell’epoca in cui viviamo. Il 'vecchio mondo' non esiste più e trovo poco edificante questo continuo confronto con il passato. Anzi, le dirò di più. Il fatto che un ragazzino sia totalmente estraneo all‘universo social’, come sembra lo fosse il 17enne di Paderno, può essere indicativo di una tendenza all’isolamento o un disinteresse per le relazioni sociali".
E dunque, come può un genitore intercettare un eventuale malessere del proprio figlio?
"Bisogna parlare con i propri figli, approfondire argomenti che vadano oltre il rendimento scolastico o la partita di calcio. Ma soprattutto, occorre educare i ragazzi alla cultura del fallimento. Tutti vorremmo un piccolo Mozart in casa, ma forse è meglio crescere un figlio con un impianto emotivo solido che un genio infelice"
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